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I mille volti di Mīlĕs

In occasione della collaborazione con l'assessorato alla cultura del quartiere 5 di Firenze abbiamo intervistato alcuni artisti attivi sul territorio. Il primo è stato MÄ«lÄ•s calabrese di origine vive e lavora a Firenze, ha conseguito i suoi studi presso l’accademia di Belle Arti di Carrara. Artista poliedrico, ci ha raccontato di come la materia comunichi e parli con lui come se attraverso l’ascolto e l’osservazione riuscisse a plasmare forme e persone. 
È, infatti, con l’osservazione che scava dentro all’anima degli esseri umani e con le mani ne accarezza la materia dandole forme contorte. Dalla Calabria a Carrara fino al Giappone ci ha raccontato il suo modo di fare arte e come esso si sia evoluto nel tempo. 

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Untitledn4: Come mai hai scelto Firenze come città per vivere e realizzare la tua arte?


MÄ«lÄ•s: É una città dove si vive bene, uno deve pensare anche a questo quando fa arte, oltre al lato economico. è
una città ricca di fascino e in una zona geograficamente strategica: Bologna è vicinissima, Milano non così
lontana, uguale Torino.


U: Il tuo processo creativo come funziona? Adesso che stai lavorando a delle illustrazioni di Pinocchio, per
esempio, leggi il libro e parti da una scena che ti colpisce? Parti dal foglio bianco?


M: É la prima volta in realtà che illustro qualcosa in questo modo, infatti per me è stata una sfida, anche nei
confronti di coloro che non mi hanno mai visto come un illustratore. In questo caso leggendo ogni capitolo cerco
una chiave che apra una porta per l’immagine, quando la trovo la realizzo per descrivere il capitolo. Per quanto
riguarda i muri sono proprio questi che mi parlano: la gente che vi passa vicino, se qualcosa è successo su quel
muro. Poi le muffe e i muri rovinati o i dettagli delle ombre ispirano qualcosa. Ultimamente non intervengo molto
coi colori, preferisco lasciare quello che trovo senza intervenire troppo, perché secondo me, quando l’uomo mette
troppa mano in qualcosa che è venuto naturalmente lo deturpa, la creatività è anche questa. Questa sensibilità è
presente in ognuno di noi, ma non tutti riescono ad ascoltarla rimanendo ancorati a certi blocchi che la società
impone.


U: Pensi che questa sensibilità sia legata anche all’ambiente? Una connessione con la natura?


M: Sì, l’ambiente è importantissimo! Quando ho vissuto per cinque mesi in Giappone (dove sono andato grazie
ad uno scambio culturale dell’Accademia di Belle Arti di Carrara) ero diventato talmente saturo di quello che
vedevo che il mio stile si era fuso con quello nipponico, mi sono dovuto fermare qualche mese per poter inglobare
quello stile mediandolo col mio.


U: L’essere umano è molto presente nelle tue opere, ha valenza positiva o negativa?


M: A volte positivo altre negativo, cerco di renderlo il più grottesco possibile perché è ciò che siamo diventati,
visto che non siamo in grado di gestire il nostro pianeta come dovremmo.


U: Tornando alla creatività, in qualche modo è la materia che plasma qualcosa che tu hai in mente?


M: Sì, ma non è mai una sola cosa, quando inizio a lavorare vuol dire che dentro ho già qualcosa che si sta
muovendo. Ovviamente anche la materia ti da un input, così come l’idea e il caso ne danno altri.


U: Ti approcci a varie tecniche artistiche: pittura, scultura, illustrazione, come scegli quale usare? Non ti
senti di tradire la pittura mentre scolpisci o viceversa?


M: No perché non mi sento né pittore né scultore nè incisore né muralista, niente di tutto ciò. Preferisco avere a
360 gradi le tecniche a mia disposizione di modo da non avere problemi quando mi si presentano le varie tipologie
di immagini da realizzare. Attingo da quello di cui ho bisogno in quel frangente. Un’immagine che funziona
bene in scultura non è detto che abbia la stessa forza in pittura, parto sempre dal disegno e poi capisco come
realizzarlo.

 

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U: Pensi che ci sia una mancanza di curiosità da parte di chi fruisce le opere, non vuole vedere oltre?


M: Sì, c’è un blocco legato all’eccessiva quantità di immagini a cui siamo soggetti, ma c’è anche altro: la superficialità
nel fare le cose mi sconvolge. L’artista è un comunicatore e se questa comunicazione non avviene c’è un
problema da qualche parte. Se le mie opere non vengono accolte con stupore, interesse e riflessione posso anche
venderle tutte ma ho fallito il mio intento e non sono pienamente soddisfatto, il mio obiettivo è quello di imprimere
nell’immagine un’inquietudine per incuriosire e stimolare, ma è molto difficile, non sempre ci riesco.
Quando però capita dà molta soddisfazione anche quando non sono opere mie ma di altri artisti, è bello potersi
stupire.


U: I social come possono influenzare la concorrenza tra artisti?


M: Possono far diventare più superficiale l’approccio all’immagine. Alcuni artisti riescono ad emergere anche
senza un approccio profondo con l’arte, realizzando immagini banali, che le persone ritengono valide solo
perché monetizzate; mentre altri talentuosi non riescono ad emergere.


U: Tu fai sia muri che illustrazioni, come si “vive” la fruizione delle tue opere in strada rispetto allo
studio?


M: In strada sai che ci saranno una marea di giudizi che ti seguiranno, quindi la responsabilità di tirare fuori una
determinata immagine da un muro aumenta. Aumenta però all’inizio, quando sei alle prime armi, perché quando
cresci e acquisisci sicurezza fai tue le immagini e riproporle sui muri non è così diverso. Il concetto che voglio
esprimere attraverso le mie opere è sempre lo stesso, che sia in strada o in studio. Come un musicista che si
emoziona ai primi concerti ma con il passare del tempo e dell’esperienza inizia a “nutrirsi” del pubblico e della
sua atmosfera, allo stesso modo per me è svanita l’ansia del creare sui muri.


U: Hai mai sentito la pressione dei giudizi altrui?


M: Certo, alle volte il mio lavoro può non essere compreso, ma fa parte del gioco! È importante anche sapersi
staccare dal giudizio degli altri perché sennò si rischia di diventare “l’artista che vogliono gli altri” e non più
quello che sei veramente.

 

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U: Prima ci raccontavi che Marino Marini è stato uno degli artisti che ti hanno sempre ispirato, perché?
Ce ne sono gli altri?


M: Io ho fatto scultura all’Accademia di Carrara e quindi i miei studi vertevano in quella direzione. Marino
Marini è stato il primissimo artista a cui mi sono ispirato per la sua incredibile semplificazione delle forme e
dopo di lui sono seguiti Brancusi, Giuliano Vangi e Augusto Perez. La loro sintesi e utilizzo della materia sono
state fondamentale per me. Per quanto riguarda la pittura invece Francis Bacon, Goya, Schiele, Klimt e
Rothko…ma sono tantissimi.


U: Nelle tue opere si vedono certi riferimenti all’arte Africana, a varie simbologie, al tuo viaggio in Giappone:
ti sei mai addentrato nelle diverse religioni o simbologie?


M: Mi piace trovare spunti e sviluppare riflessioni in simboli diversi, ma preferisco essere distaccato e istintivo
nella mia Arte. Cerco da sempre di imporre nei miei lavori una certa istintività e quindi no, preferisco non addentrarmi
troppo.

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